Justinien Tribillon

Laurent Perreau

Borsista
2023 - 2024

Curatori di mostre

Biografia

Justinien Tribillon (Francia, 1989) è un curatore, scrittore e redattore il cui lavoro spazia tra diversi media e discipline: scienze sociali, fotografia, architettura e storia. Nel 2021 ha presentato la mostra “Welcome to Borderland” sulla migrazione delle piante alla Biennale di Architettura di Venezia. Nel 2023 curerà e produrrà “Jachères”, un’esplorazione delle aree urbane e suburbane abbandonate nel nord della Francia attraverso l’arte, il design e l’architettura. Justinien Tribillon ha conseguito un dottorato in pianificazione urbana presso la Bartlett School of Planning, University College London, ed è autore di una tesi sul Boulevard périphérique de Paris come artefatto socio-tecnico. Cofondatore di Migrant Journal, una rivista di sei numeri che esplora la migrazione in tutte le sue forme, oggi collabora come giornalista e critico di architettura con diverse pubblicazioni tra cui The Guardian, The Architectural Review e AOC.

Progetto

A Villa Medici, Justinien Tribillon continua la sua ricerca sul tema ricco e complesso della parrucca, in vista dell’allestimento di una mostra dedicata a questa pratica. Lo strano nome “parrucca” si riferisce all’attività svolta dagli operai durante l’orario di lavoro, utilizzando gli strumenti e i materiali dell’azienda, per realizzare oggetti o riparazioni per se stessi. Si tratta di un’attività clandestina, a volte tollerata dalla direzione, ma il più delle volte il parrucconaggio viene nascosto, rimproverato e persino licenziato. È una pratica diffusa, ma poco conosciuta e documentata. La residenza di Justinien Tribillon a Roma offrirà l’opportunità di osservare l’immagine speculare tra Francia e Italia. Il progetto espositivo metterà insieme la ricerca storica e le domande attuali sul nostro rapporto con il lavoro. Offre inoltre alcune sfide intellettuali e curatoriali particolarmente stimolanti: come possiamo evidenziare una pratica subalterna senza istituzionalizzarla? Come possiamo utilizzare lo spazio per mettere in discussione una pratica piuttosto che una collezione di oggetti?

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