Claudio Abate Fotografo

Claudio ha fotografato moltissimi dei miei lavori, con sentimento e attenzione, valutando lo spazio e raccogliendo la drammaticità che i vari momenti di sconvolgimento formale pretendevano . Jannis Kounellis L’Accademia di Francia a Roma, diretta da Richard Peduzzi, ha il piacere di presentare, da venerdì 26 ottobre a domenica 2 dicembre 2007, una importante mostra monografica dedicata a Claudio Abate , grande fotografo romano che in cinquant’anni ha vissuto e lavorato con i più prestigiosi artisti italiani e stranieri del dopoguerra. Dopo l’esposizione al Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, una selezione di circa sessanta fotografie testimonieranno i momenti unici ed ineguagliabili che Claudio Abate è riuscito a cogliere nella sua lunga carriera di fotografo-artista: da “Vedova blu” di Pino Pascali (1968) a “Rovesciare i propri occhi” di Giuseppe Penone (1970), da “Under water landscape” di Teresita Fernandez (2001) a “Sappho” di Anselm Kiefer (2005) proprio a Villa Medici. La mostra vuole illustrare da una parte come le immagini di Abate siano una perfetta rappresentazione delle opere di artisti straordinari, istantanee di performance irripetibili e dall’altra come ogni fotografia sia un’autentica opera d’arte di per sé. In occasione dell’ esposizione sarà in vendita il catalogo edito da Photology a cura di Achille Bonito Oliva con le opere in mostra. L’ARTISTA Claudio Abate nasce a Roma nel 1943, dove vive e lavora tutt’oggi. Figlio di un pittore, egli mostra sin dalla prima adolescenza una vera e propria passione per l’arte e la fotografia. Inizia a lavorare all’età di 12 anni come “ragazzo di bottega” nello studio del fotografo Michelangelo Como, per poi aprire uno studio proprio a soli 15 anni. Inizia subito a lavorare con la Press Service Agency e, dal 1961 al 1963, lavora come assistente di Erich Lessing (tra i fondatori dell’Agenzia Magnum) al Life Magazine. Contemporaneamente segue e testimonia le vicende del teatro d’avanguardia e, in particolare, il lavoro di Carmelo Bene, lavorando per la rivista Sipario. Sue sono le foto di scena, durante la rappresentazione di Cristo 63′, spettacolo che provocò la chiusura definitiva del Teatro Laboratorio e la condanna in contumacia di Carmelo Bene, ma che grazie alle immagini di Abate quest’ultimo fu assolto. Collabora inoltre attivamente con un gran numero di artisti, partecipando al clima e al fermento di quegli anni. Dalla metà degli anni Sessanta, sino alla fine del decennio successivo, egli diviene più che un semplice fotografo, ma il “testimone oculare” di un intero periodo storico. I suoi scatti, unico prezioso documento di eventi di cui probabilmente oggi non avremmo traccia, diventano l’emblema di un epoca. Memorabili sono la fotografia dei Cavalli di Jannis Kounellis all’Attico, del 1969, e quella de Lo Zodiaco di Gino de Dominicis del 1970, in cui riesce interamente e mirabilmente a ritrarre, in un unico scatto, lo spazio di quelle complesse opere ambientali. Come ricorda lui stesso “Era necessario che realizzassi una fotografia de Lo Zodiaco capace di riassumere in sé l’opera intera perché quasi sempre rimane una sola immagine del lavoro e questa deve essere necessariamente la foto definitiva dell’opera, quella che l’artista riconosce e accetta come fosse sua”. Con il suo obbiettivo, Claudio Abate sembra aver accompagnato e riscritto in immagini la storia dell’arte italiana e non degli ultimi quarant’anni. Dopo i cosiddetti anni caldi, si delinea il suo compito di fotografo-lettore dell’arte contemporanea d’avanguardia. Inizia a sperimentare un linguaggio personale, lavorando con le diverse tecniche della fotografia. Cominciando dai Contatti con la superficie sensibile, 1972 egli tributa un omaggio a quanti artisti-amici erano stati, con lui, testimoni di un’esperienza, presentando opere in bianco e nero realizzate attraverso il contatto con la superficie sensibilizzata dalla luce. Negli anni Ottanta Abate per la prima volta si confronta con il colore, sempre tenendo vivo l’intimo dialogo con le opere e gli artisti che ritrae, ormai tratto distintivo e anima del suo lavoro. Trasferito più di recente il suo studio nel vivace quartiere romano di San Lorenzo, inizia un sodalizio con quella che negli anni Ottanta è stata definita la Nuova Scuola Romana. Dagli anni Novanta inizia a sviluppare interessanti ricerche coinvolgendo gli artisti, che invita a lavorare assieme a lui in camera oscura, sempre evidenziando da un lato le peculiarità di ognuno e, d’altro canto, mettendoli a contatto diretto con la sua personale ricerca. Oggi, le sue fotografie sono oggetto di numerose mostre nazionali e internazionali, in alcuni dei più prestigiosi spazi espositivi.