Imitare ciò che è scomparso. Gli artisti moderni di fronte alle lacune dell’eredità antica
dal 6 marzo 2009 - al 7 marzo 2009Uno dei miti fondanti del Rinascimento è quello che esorta all’imitazione dell’antico. Da un Brunelleschi che fa il viaggio da Firenze a Roma all’inizio del XV secolo per prendere le misure esatte dei monumenti del campo vaccino alla celebre frase di Winckelmann: “Per essere inimitabili, imitiamo gli Antichi”, le opere dell’Antichità non hanno mai smesso di esercitare sugli artisti e sui teorici un fascino ineguagliabile. Le creazioni antiche erano viste come un Paradiso perduto, con gli artisti moderni che dovevano ricopiarne le forme per avvicinarsi alla loro grandezza. Per far ciò, era necessario ignorare lo stato lacunoso dell’eredità antica: non bisognava riprodurre le vestigia che si avevano sotto gli occhi, ma dei monumenti interi, così come erano stati concepiti originariamente. Gli artisti si trovavano così ad affrontare una doppia sfida, in apparenza contraddittoria: da una parte imitare l’Antichità, dall’altra, negli interstizi scavati dal tempo e dall’oblio, reinventarla. Non c’è dubbio sul fatto che proprio questa dicotomia sia all’origine della fortuna senza precedenti del mito dell’antico, costantemente riattualizzato da nuove conoscenze archeologiche e integrato da invenzioni sempre più ingegnose. L’importanza di questa “zona d’ombra” del modello antico non è mai stata studiata in quanto tale. Tuttavia ci sarebbe molto da dire sul modo in cui si completa il modello antico: certo empiricamente, a volte “ex nihilo”, spesso a contrasto, quasi sempre a fini ideologici. Dover in parte riscrivere l’antico significa anche e soprattutto offrire un formidabile margine di libertà agli artisti, con il pretesto del rispetto della tradizione: una sorta di “licenza nella regola”, per riprendere il vocabolario del Vasari, che vale la pena studiare nei suoi diversi aspetti così come nelle sue metamorfosi. Comitato scientifico Daniela Gallo, Neville Rowley, Marc Bayard Comitato organizzativo Angela Stahl, Clémence Graveraux